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Il vino cotto, di padre in figlio

Vino cotto

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Dopo la Ratafià e la Genziana, quasi a voler concludere un tridente di eccellenze alcoliche, è doveroso parlare del Vino cotto, un’altra delle prelibatezze abruzzesi. Il Vino cotto ha ottenuto il riconoscimento di prodotto agroalimentare tradizionale italiano da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, tanto che è stata costituita un apposito ente, l’Associazione Produttori Vino Cotto d’Abruzzo, che si occupa della tutela e della produzione di questa bevanda.

L’origine

Il vino cotto è una ricetta molto antica e sembra sia stato introdotto nel nostro Paese da parte dei greci. Essi procedevano con la cottura del mosto in modo da ridurre a caldo il volume (interzatura) per poi inserire il prodotto all’interno di botti di legno. Questo procedimento portava auna fermentazione più lenta e a un invecchiamento tale da realizzare questo tipo di bevanda. La particolarità di questa lavorazione è quella di permettere al vino di rimanere poco acido e non trasformarsi in aceto.

Questo tipo di produzione era anche figlia di una creatività e genialità da parte dei contadini che lavoravano la terra. Capitava spesso, infatti, che i proprietari tenevano per sé le uve migliori e lasciavano ai contadini quelle più rovinate. Soprattutto quando le raccolte non erano abbondanti, i contadini rischiavano di ritrovarsi senza niente. Ecco quindi che inventarono questo tipo di lavorazione che gli consentiva di avere per tutto l’anno un vino di alta qualità.

L’introduzione del vino cotto avvenne principalmente nell’Italia centrale, una zona che i greci chiamavano “Terra del Vino” (Enotria), tanto che Plauto definiva le procedure per creare il vino come “opera di ingegno”.

In Abruzzo le prime testimonianze di questo tipo di produzione si hanno nella zona del teramano, soprattutto nei comuni di Basciano, Bisenti e Cermignano. Tradizionalmente il vino cotto veniva consumato in occasione di eventi particolarmente importanti, come poteva essere il matrimonio di un figlio. In quei casi si festeggiava con il vino preparato durante l’anno della nascita del figlio che si sposava.

La preparazione

Così come veniva fatto anticamente per preparare il vino cotto si utilizzano le uve locali che vengono prima ridotte in mosto per poi essere cotte all’interno del caldaro (un grande contenitore in rame). Secondo la tradizione, durante la cottura del mosto, deve essere aggiunto un pezzo di ferro nudo all’interno del caldaro. Tale operazione serve a evitare che il rame si mescoli con il mosto. Dopo la cottura il mosto viene lasciato decantare e tornare a temperatura ambiente, per poi aggiungervi del mosto fresco. L’aggiunta varia in rapporto al grado alcolico che si vuole dare al vino cotto.

Dopo questa fase il vino cotto viene lasciato a fermentare per poi essere inserito all’interno di botti di legno per l’invecchiamento. Questo parte da un minimo di 2 anni e può raggiungere tempi molto più lunghi, tanto che in Abruzzo si registrano produzioni con invecchiamenti centenari.

Le caratteristiche

Solitamente la gradazione media del vino cotto è quella di 15° ed è una bevanda ottima per accompagnare i dessert o anche per gustare i formaggi stagionati. Al gusto il vino cotto risulta dolce, ma non troppo, ed è caratterizzato da un colore ambrato. Dal punto di vista più “tecnico” è stato riscontrato come il vino cotto abbia enormi proprietà antiossidanti, derivate dal cosiddetto processo di caramellazione degli zuccheri che si verifica durante la pastorizzazione del mosto.

 

Immagine in evidenza: thanks to www.altosannio.it

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