“Ebbene, all’avvocato Manin Baracca io, Rosario Chiàrchiaro, io stesso sono andato a fornire le prove del fatto: cioè, che non solo mi ero accorto da più d’un anno che tutti, vedendomi passare, facevano le corna, ma le prove anche, prove documentate e testimonianze irrepetibili dei fatti spaventosi su cui è edificata incrollabilmente, incrollabilmente, capisce, signor giudice? La mia fama di jettatore! Voi? Dal Baracca? Sissignore, io.”
Questo breve estrapolato tratto dall’opera “La Patente” di Luigi Pirandello nasconde una singolare vicenda che trae origine a Lanciano. Pirandello inserisce ne “La Patente” i personaggi dell’avv. Manin Baracca (ispirato al lancianese Manin Carabba) e dell’usciere Marranca (ispirato al lancianese Prof. Filippo Stella Maranca, docente di Diritto all’Università di Bari), entrambi patrocinatori di Rocco Carabba che fece causa allo stesso Pirandello. Ma quale motivo spinse l’editore a tale gesto?
Lo scontro tra Pirandello e Carabba
Ripercorriamo brevemente la storia…
Pirandello pubblicò con Carabba il saggio “L’Umorismo” (1908) e subito dopo, sempre con lo stesso, strinse un contratto di edizione che legava l’autore alla casa editrice per le successive dodici novelle, specificando che fossero però rivolte ai ragazzi. Pirandello, tuttavia, ne inviò alcune già apparse su giornali o riviste, tra cui “La giara“.
L’accusa dell’editore di non aver mantenuto fede al patto prestabilito, ferì nell’orgoglio lo scrittore agrigentino, che non volle restituire la somma anticipatamente ricevuta, pensando di poter comunque risolvere la delicata questione. Infatti, fece a Carabba una controproposta, inviandogli altre novelle da dare alle stampe al fine di ristabilire la quiete. Ma la disputa proseguì, soprattutto per quell’anticipo sulle opere che l’editore era solito versare all’autore e di cui pretendeva la restituzione non avendo ottenuto quel che desiderava.
Carabba, dunque, con in testa l’idea pertinace di coltivare il filone della letteratura per ragazzi in linea con le tendenze del mercato, non volle fare un passo indietro. L’autore di “Uno, nessuno, centomila“, per niente intimidito dalla fermezza di Carabba, cercò ancora di giustificarsi, facendo appello alla sensibilità del suo interlocutore. Mancandogli infatti la semplicità serena e festosa “di cui dovrebbero essere fatte le letture per giovinetti”, come scrisse egli stesso all’editore, sarebbe stato inutile cercare di soddisfare al meglio quella richiesta specifica.
Tornò, per tale ragione, a proporre altro: Carabba rifiutò ancora, deciso com’era a riavere solo i suoi soldi. Solo allora lo scrittore agrigentino andò su tutte le furie, tanto da inviare all’editore un’altra missiva, in cui scrisse una colorita ingiuria, che iniziava così: “Vedo chiaramente che lei capisce di letteratura quanto può capirne un cerinajo che va vendendo per istrada le sue scatole di fiammiferi”.
Questa affermazione di Pirandello spinse l’ardito editore, offeso da quell’irriverente esclamazione, a citarlo in giudizio. Pirandello, la cui presenza nella città di Lanciano non sarebbe stata del tutto nuova all’epoca, dato che rivestì anche il ruolo di presidente di commissione d’esame, perse la causa e successivamente, da questo episodio dai contorni tragicomici, vi trasse una delle sue più note opere, “La Patente” per l’appunto.
La casa editrice Carabba
Questo è solo uno degli episodi che costellano la vita della più gloriosa casa editrice d’Abruzzo fondata da Rocco Carabba nel 1878. Pochi anni dopo l’apertura della tipografia, il 14 novembre del 1880 stampò la seconda edizione di “Primo vere“, opera prima di Gabriele D’Annunzio, che nel 1878 era già uscita a cura del tipografo teatino Giustino Ricci a Chieti. Alla fine degli anni ’80 dell’Ottocento la casa editrice collaborò con il demologo abruzzese Gennaro Finamore per la pubblicazione di studi sulle tradizioni popolari abruzzesi, nel 1889 Finamore pubblicò anche la prima edizione del “Vocabolario del dialetto abruzzese“.
La notorietà della casa editrice fu raggiunta a partire dal 1909 con la collana “Cultura dell’anima”, ideata da Giovanni Papini e impreziosita dalla copertina disegnata da Ardengo Soffici. Nella vita della casa editrice Carabba entrarono a vario titolo i nomi di maggior rilievo della cultura italiana dell’epoca da Luigi Pirandello a Matilde Serao, da Massimo Bontempelli a Giuseppe Prezzolini e ad altri giovani intellettuali di rilievo. Dopo la morte di Rocco Carabba (gennaio 1924) la gestione dell’editrice Carabba passò al figlio Giuseppe.
La crisi sopravvenne a causa di investimenti sbagliati (acquisto di villini ad Ostia e apertura di una succursale a Milano) e Giuseppe e il figlio Dino furono costretti a trasformare l’azienda individuale in società anonima per azioni: nel 1937 fu costituita la “Società anonima Casa editrice Rocco Carabba” con sede in Lanciano. Le divergenze d’opinione tra padre e figlio impedirono di sanare il deficit dell’azienda e la seconda guerra mondiale acuì le difficoltà della casa editrice, che cessò l’attività per fallimento il 2 maggio 1950.
Nel 1972, dopo aver recuperato la proprietà letteraria e dei diritti da chi l’aveva rilevata dal fallimento, due intellettuali di Lanciano, Emiliano Giancristofaro e Domenico Barbati, ricominciarono le attività editoriale, provvedendo a ristampare opere prestigiose della collana “Cultura dell’anima”. Dopo una lunghissima pausa di quasi mezzo secolo, dunque, nel 1996 ha ripreso le pubblicazioni, sebbene con meno smalto rispetto ai suoi anni ruggenti, nonostante collane e titoli stimolino il lettore curioso.
Classe 1995, nasce a Vasto (CH). Conseguita la laurea in Lettere moderne, si specializza dapprima in Filologia, linguistica e tradizioni letterarie e successivamente in Giornalismo e cultura editoriale. Ha tentato fin da subito di fare della scrittura un lavoro, collaborando con agenzie web e testate locali. Oggi attraverso Visitare Abruzzo racconta la sua regione, per cogliere gli aspetti tipici di una terra autentica e verace.