Il pomeriggio del 16 gennaio, alla vigilia della festa di Sant’Antonio Abate, a Fara Filiorum Petri (CH), gli abitanti delle contrade portano in corteo la propria farchia, ovvero un enorme fascio di canne, legate con grande perizia per mezzo di corde ottenute da rami di salice rosso. Ogni farchia non può superare gli 8 metri d’altezza e gli 80 centimetri di diametro.

Una volta innalzate attraverso una complessa manovra, le farchie vengono accese con un innesco di paglia posto sulla cima e lasciate bruciare.
La festa vera e propria inizia all’imbrunire quando la statua di Sant’Antonio giunge nel piazzale antistante la Chiesa e le farchie vengono benedette.
L’incendio delle farchie, secondo una leggenda locale, rievocherebbe un miracolo compiuto dal santo a Fara Filiorum Petri nel 1799: le truppe francesi in procinto di occupare il piccolo borgo, si trovarono di fronte Sant’Antonio Abate nelle vesti di un generale che intimò loro di fermarsi e non oltrepassare la selva, un querceto che proteggeva Fara. Le truppe francesi non ascoltarono l’avvertimento e continuarono nella loro avanzata. A questo punto si compì il miracolo di Sant’Antonio che trasformò gli alberi della selva in immense fiamme che fermarono l’avanzata degli invasori.

Nel 1890 Gennaro Finamore, medico, nonché glottologo e antropologo abruzzese, descrisse la festa come una semplice processione di contadini che portavano con sé delle fiaccole gettate poi davanti alla chiesa a formare un falò.
«Fascicolo di canne da ardere come torcia a vento per far lume o per appiccar fuoco»
Ma da un documentario dell’Istituto Luce realizzato nel 1929 è invece possibile verificare come l’allestimento attuale delle farchie e il rituale festivo odierno siano condotti sul modello cerimoniale registrato negli anni venti del secolo scorso. Non è dunque un azzardo ipotizzare che la trasformazione delle piccole fiaccole descritte da Finamore nelle grandi farchie novecentesche trovi la sua spiegazione nell’opera di spettacolarizzazione del folklore tipico delle politiche culturali del ventennio fascista.

“Gli studiosi hanno due spiegazioni delle feste del fuoco. Da una parte si è ritenuto che fossero incantesimi del sole o cerimonie magiche che dovevano assicurare la provvista necessaria di luce solare agli uomini, agli animali e alle piante, dall’altra si sostiene che esse hanno solo un’intenzione purificatrice, distruggendo le influenze dannose.”
J.G. Frazer

Classe 1995, nasce a Vasto (CH). Conseguita la laurea in Lettere moderne, si specializza dapprima in Filologia, linguistica e tradizioni letterarie e successivamente in Giornalismo e cultura editoriale. Ha tentato fin da subito di fare della scrittura un lavoro, collaborando con agenzie web e testate locali. Oggi attraverso Visitare Abruzzo racconta la sua regione, per cogliere gli aspetti tipici di una terra autentica e verace.