in

Francesco Paolo Votinelli: il cantore dell’amata Vasto

Il fenomeno dell’emigrazione narrato nella celebre canzone “Uašte bbelle e terra d’èure”

Il destino che accomunava molti abruzzesi durante la prima metà del secolo scorso prende il nome di emigrazione. Se ad una qualsiasi persona anziana di un qualsiasi paese d’Abruzzo si chiedesse di indicare l’evento che maggiormente ha segnato la storia della regione, senza esitazione risponderebbe proprio l’emigrazione; un fenomeno permanente o, meglio, una dimensione concreta, che ha accompagnato il vissuto della maggior parte dei suoi abitanti per oltre centocinquant’anni.

La fame, la povertà e la mancanza di lavoro, soprattutto durante l’inverno, hanno spinto molti uomini ad emigrare all’estero. Le partenze non furono mai solitarie, individuali. Furono sempre partenze di grandi gruppi. E questo determinava un inevitabile spopolamento di interi paesi.

Di certo, le intenzioni iniziali degli emigrati non puntavano ad un abbandono definitivo della terra di origine. In fondo, l’atteggiamento del lavoratore abruzzese restava quello tenuto da secoli nell’emigrazione stagionale: una ricerca di risorse in terre straniere per migliorare la condizione sociale nell’ambito della comunità di origine. Ma senza dubbio, il crescere delle distanze, le diverse condizioni di lavoro e il costo del viaggio indussero molti lavoratori abruzzesi a non praticare il ritorno annuale, soprattutto perché il posto di lavoro tendeva a non essere più quello stagionale, ma caratterizzato, soprattutto all’estero, da maggiore specializzazione e stabilità.

L’idea che subentrava, dunque, era l’ipotesi di una accumulazione di denaro in un arco di parecchi anni, sino a raggiungere una somma tale da garantire un ritorno al paese di origine che venisse accompagnato da un mutamento di status. E lo status era ancora legato all’acquisto di buone terre e di una casa dignitosa. Solo a questo punto, cioè dopo l’accumulazione di una somma adeguata, alcuni di questi migranti fecero ritorno.

Francesco Paolo Votinelli
Francesco Paolo Votinelli

La storia degli emigrati, dunque, non è mai una storia lineare, ma al contrario, è spesso percorsa da un incessante succedersi di scelte e pentimenti. Lo sa bene Francesco Paolo Votinelli che, lasciando la terra natia, oltrepassò l’oceano in cerca di fortuna. Votinelli (il cui vero cognome era Cutinelli) era nato a Vasto il 13 ottobre 1891 nel quartiere Castello, ossia in una casa del rione di Santa Maria Maggiore. Il padre Domenico Cutinelli, faceva il vigile urbano, mentre la madre di Votinelli, Rosalinda Giosi, per aiutare a mandare avanti la famiglia, aveva aperto in un basso di Piazza Barbacani, una bottega per la vendita di setacci per la farina e delle caratteristiche “chitarre” utilizzare per la pasta fatta in casa.

Francesco Paolo si imbarca per l’America a soli sedici anni, trovando subito un’occupazione come sarto. Mantenne sempre rapporti di cordialità ed amicizia con i gruppi di vastesi anche essi emigrati in America, tanto da guadagnare un simpatico appellativo: “Lu pelajje” cioè l’origano, quell’ingrediente che non manca mai, un modo simpatico per indicare una persona portata per animare feste e conviviali dato il suo spiccato il carattere gioviale unito ad un innegabile talento lirico e poetico. E fu proprio Francesco Paolo ad intonare per primo la celebre Uaste bbelle, terra d’eure che divenne ben presto l’inno dei vastesi nel mondo, coloro i quali, struggendosi per la lontananza, col canto tentavano di appagare quantomeno lo spirito.

“Uaste bbélle, terra d’èure/notte e jurne penz’a ttaje”

Nel 1965 Francesco Paolo Votinelli lasciava l’America per far rientro definitivamente a Vasto, desideroso di essere sepolto nella terra natale. Era il 14 novembre 1969 quando, all’età di 78 anni, si spense, realizzando, tuttavia, l’ardente desiderio di ricongiungersi con l’amata Vasto.

“Ma fa prima che mme méure /te putesse arevidaje”

"Uašte bbelle e terra d'èure"
“Uašte bbelle e terra d’èure”

3 Commenti

Cosa ne pensi? Lascia un commento
  1. Francesco was my fathers uncle. I met him only once when I was 10 years old. My father introduced my three brothers and I in chronological order, one at a time, speaking to him only in Italian. I could tell my father had the utmost love and respect for him. My fathers father Nicolo died young, in his 20s I was told. My father was only 6 months old. So he became close to his Uncle Frank after that.
    I really would like to translate his song into English which I plan to do. And I would love to visit Vasto someday soon. Thank you

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Festival del Baccalà

6° Festival del Baccalà a Sant’Omero

Cosa vedere in Abruzzo

Cosa vedere in Abruzzo: 20 posti indimenticabili